Un “piano Marshall” per il cinema

Un “piano Marshall” per il cinema

Due premesse. La prima è che gli effetti del corona virus sulle prospettive future del Paese sono sempre più assimilabili a quelli che si ebbero nell’Europa stremata dalla Seconda Guerra Mondiale quando, per uscire dalla gravissima crisi del dopoguerra, fu necessario mettere in cantiere una serie di misure e di risorse eccezionali.
In tale tragica situazione si diede vita ad un gigantesco piano di sostegno economico chiamato “Piano Marshall” basato su un vasto spettro di iniziative economiche di carattere pubblico che veniva incontro agli urgenti fabbisogni “di sistema” della popolazione, che prese il nome di “Welfare State” e fu applicato con differenti gradualità nelle diverse nazioni. L’Italia ne fu un modello tra i più avanzati: venne predisposto infatti un vasto raggio di iniziative riguardanti scuola, sanità, modalità assistenziali ed assicurative, sistema pensionistico, edilizia popolare, incremento dei diritti sul lavoro, nuove formule creditizie, sostegni di vario tipo alle imprese ed alle famiglie.
La seconda premessa riguarda una nuova considerazione verso la cultura e, specificamente, verso il cinema, in quanto arte più giovane e più popolare, quella grazie a cui, in maniera più diretta ed immediata rispetto ad altre forme di intrattenimento, un Paese costruisce e perpetua la propria identità.
Purtroppo tale sensibilità è venuta meno anche in tempi ordinari per cui si è erroneamente ritenuto opportuno, un po’ come è avvenuto per la sanità e sottovalutando completamente l’effetto moltiplicatore che esso ingenera a cascata in tutti i rami dell’economia, prima di tutti quello turistico, procedere a tagli od a mancati o ridotti investimenti, aggravati dall’avvento del sistema televisivo privato il quale, perlomeno agli inizi, ha fatto un uso indiscriminato di film, e dal diffondersi di nuove tecnologie dell’immagine che hanno sostanzialmente trasformato il consumo di cinema da istanza culturale collettiva a momento sempre più privato, domestico ed individuale.
I dati, da questo punto di vista, sono drammaticamente eloquenti, così da poter parlare di un vero e proprio smantellamento del circuito di diffusione: nel periodo compreso tra gli Anni Settanta ed oggi Il circuito nazionale di sale cinematografiche si è infatti drasticamente ridotto (da oltre 10.000 a poco meno di 3000, molte delle quali con programmazione non continuativa e quotidiana ma soltanto serale o festiva) lasciando scoperte intere aree di territorio e di popolazione e facendo in tal modo dissolvere un prezioso tessuto connettivo socio-culturale. L’ammontare annuo di biglietti staccati è diminuito da 550 a 100 milioni mentre la produzione di film si è ridotta dagli oltre 400 film l’anno -sempre nel periodo considerato- a meno di 60/70, contraendo sensibilmente la creatività e lasciando spazi immensi ad una nuova forma di “colonizzazione culturale”, preoccupantemente evidente nelle percentuali di rapporto tra cinema italiano e cinema americano che si sono capovolte, da quello 60/40 degli Anni Settanta a favore della nostra cinematografia a quella attuale 70/30 a favore di quella statunitense, una percentuale che è ancora maggiore se si considera il consumo casalingo attraverso piattaforme web come Netflix o Sky che ovviamente presentano, in modo quasi esclusivo, produzioni d’oltre oceano.
Se si vuol riportare il cinema italiano, se non alla situazione preesistente quando era considerato il cinema più bello ed importante del mondo, perlomeno ad accettabile riequilibrio e non disperdere la nostra creatività per immagini, la nostra identità culturale e con essa la possibilità di diffusione nel mondo del “Made in Italy” che tanto si fonda, oltre ai luoghi artistici, alla cucina ed alla moda, al cinema. Basti pensare soltanto alle location di film che diventano ambienti da visitare al pari di altrettanti luoghi d’arte e di turismo, è indispensabile ed urgente un vero e proprio “Piano Marshall” dedicato alla ricostruzione del fenomeno cinematografico nei suoi caratteristici, fondamentali ed interconnessi aspetti industriali, economici, culturali e di aggregazione sociale, con la riprogettazione di una “rete” che parta dall’emergenza ma che sia razionale, non assistenziale, abbia caratteristiche prospettiche e di struttura a medio/lungo termine ed immetta nelle strutture produttive e distributive nazionali risorse economiche adeguate, nella considerazione che questa forma d’arte, di espressione e di comunicazione, debba essere considerata, perlomeno in questo momento di così grave contingenza, non solo come una forma tra le altre di occupazione del tempo libero ma primaria e strategica: primaria, prima che si chiuda ogni spazio di ricezione del mercato, sia interno (dove già si è in condizioni di oligopolio) che internazionale, ma anche che si mutino irrevocabilmente le abitudini del pubblico, difficilmente recuperabili una volta che si siano consolidate, strategica, in quanto non negoziabile né tantomeno delegabile ad entità non appartenenti al nostro Paese ed alla nostra identità culturale e linguistica.
Ecco qui di seguito i primi due interventi strategici, prioritari, pianificati, innovativi, che si propongono in una visione di politica culturale ed economica di implementazione sensibile della spesa pubblica, che si caratterizzano per essere strutturali e tra loro interdipendenti ed integrati, e che hanno per obiettivo il mantenimento e lo sviluppo di un patrimonio prestigioso ed unico, valido per oggi e per domani, che non può essere disperso ma rilanciato come volano per l’intero assetto nazionale.

a) ISTITUTO DEL RESTAURO
Il cinema, nonostante la sua importanza non solo come espressione artistica ma anche come documento, memoria e fonte storica di un’intera collettività, è tuttavia un mezzo tdi comunicazione tecnicamente molto fragile, con un tempo di resistenza e permanenza non superiore a 10/15 anni, un nulla se confrontato al libro od a qualsiasi altra opera dell’ingegno. Una inchiesta UNESCO, l’organismo internazionale la cui mission è la salvaguardia del patrimonio culturale dell’umanità. ha stabilito che il 70% del cinema in bianco e nero è da considerarsi definitivamente perduto così come il 50% del cinema a colori. Sarebbe certamente un dato sconvolgente se applicato all’architettura, alla letteratura od alle arti figurative ed invece, ed incomprensibilmente, non sembra allarmare più di tanto. Si tratta invece di un’immensa questione che andrebbe trattata con la medesima coscienza “ecologica” riservata alla sopravvivenza della Natura poiché la perdita di un capolavoro del cinema equivale all’estinzione di una pianta o di una specie animale. In più, rispetto sempre alle altre arti, non sono le copie ma l’originale (il negativo) ad essere il supporto più fragile, quello che necessita di maggior cura ed attenzione, sia sotto il profilo conservativo che restaurativo, tecnico e filologico. Attualmente sono le diverse Cineteche pubbliche (come la Cineteca Nazionale e le cineteche comunali) e private ad occuparsi di questo problema, grazie anche ad un contributo annuo per la digitalizzazione da parte del MIBAC di 10 milioni di euro (cifra certamente insufficiente), ma ognuna di esse opera in ordine sparso ed in base a propri programmi, necessità od orientamenti.
E’ necessario invece creare un Istituto Nazionale di diritto pubblico per la Conservazione ed il Restauro digitale che abbia per compito esclusivo (La Cineteca Nazionale è infatti inglobata nel Centro Sperimentale di Cinematografia che si occupa anche di formazione) di dedicarsi all’intero patrimonio nazionale utilizzando le più avanzate tecnologie e con ben altri finanziamenti, e ciò nella ferma convinzione che “ Preservare il cinema del passato permette il cinema del futuro” come ha dichiarato Henri Langlois, il Conservatore della Cinémathèque Française.

b) CIRCUITO PUBBLICO DI SALE
Costituire un valido circuito pubblico di sale su tutto il territorio nazionale, come avvenuto già nel passato nel nostro Paese, a fronte della progressiva e -sembra- inarrestabile chiusura dei cinema di proprietà privata, è ormai una esigenza improrogabile per garantire la diffusione del prodotto filmico italiano sul territorio e riconquistare il pubblico perduto, ma ciò sarà possibile solo attraverso forti investimenti in ammodernamento tecnologico al fine di trasformare la sala tradizionale in centri polivalenti e poli-espressivi, utilizzabili per una pluralità di espressioni artistiche, e poli-funzionali, che non facciano più perno esclusivo sul momento della proiezione ma ricomprendano altre attività integrative, coinvolgenti e socializzanti (consultazione di biblioteche interconnesse dedicate a questa forma di spettacolo, utilizzo di Internet, ristoranti, luoghi di incontro e conversazione, kindrerheim, etc), sull’esempio del Palazzo del Cinema Anteo di Milano che sta dando positivi risultati in termini di riaggregazione sociale e di valorizzazione del territorio, quartiere. Tali esercizi saranno collegati e riforniti sistematicamente dall’Istituto del Restauro così da affiancare alla programmazione di film contemporanei rassegne di cinema classico, un tempo svolte da cineforum, cineclub, programmi televisivi ma oggi sempre più rare, superando un vuoto informativo ed una conseguente sacca di ignoranza in una delle manifestazione artistiche che tutto il mondi ci invidia e che sempre più rischia di essere conosciuta ed apprezzata più all’estero che nel nostro Paese.
Accanto a questo circuito si può pensare anche ad una piattaforma on-line, sempre rifornita ed aggiornata dall’Istituto, e potranno essere previste forme agevolate di abbonamento che permettano agli spettatori di assistere agli eventi a condizioni di eccezionale favore, perlomeno in una prima fase, accrescendo in loro un bisogno di partecipazione particolarmente necessario in questo particolare momento storico. Un progetto che non può non partire dall’emergenza ma che deve però trasformarsi in una opportunità di ricostruzione e di rinascita di cui il cinema italiano aveva bisogno già da molto tempo.
Si sottolinea che entrambe le proposte permettono di offrire interessantissime opportunità professionali di lavoro qualificato e stabilizzato a migliaia di giovani preparandoli e coinvolgendoli in tempi brevi in una attività di grande attrattiva ma anche tra le poche destinate ad avere un futuro in quella che sempre più si caratterizzerà, anche nel nostro Paese, come “società di servizi”.


MARINA ASSANDRI

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